La Villana d'inverno in direzione ovest, la finestra di camera che non c'è.
M6 + Elmarit 135mm / Kodak Trix-400
lunedì 29 dicembre 2014
mercoledì 17 dicembre 2014
lunedì 15 dicembre 2014
Verso le sette del mattino del 21 agosto 1911 - un lunedì - quest'uomo, Vincenzo Peruggia*, entrò al Louvre e si portò via la Gioconda sotto la giacca.
Due anni se l'è tenuta in casa, due: poi s'è fatto un viaggio (in treno?) fino a Firenze col quadro in valigia nel vago sogno nazionalista di riportare la bella in patria ed è finita come sappiamo.
Niente male, Vincé.
*Originario di Trezzino, frazione di Dumenza, un paese del nord della provincia di Varese, vicino al confine con la Svizzera. Il padre Giacomo era muratore mentre la madre Celeste si occupava dei lavori domestici e dei cinque figli: quattro maschi e una femmina. Appreso in giovane età il mestiere di imbianchino e verniciatore, seguì per lavoro il padre a Lione nel 1897. Essendo di costituzione gracile nel 1901 venne riformato dal servizio di leva e nel 1907 emigrò in cerca di lavoro a Parigi, percorso già compiuto da altri emigranti italiani. Qui si ammalò di saturnismo, malattia dovuta all'intossicazione da piombo, metallo contenuto nelle vernici utilizzate dagli imbianchini. Vista la lontananza dall'Italia egli tenne contatti epistolari con la famiglia alla quale inviava saltuariamente modiche somme di denaro. Assunto dalla ditta del signor Gobier, venne mandato con altri operai al Museo del Louvre con il compito di pulire quadri e ricoprirli con cristalli e compì il suo furto la mattina del 21 agosto 1911. Il 5 giugno del 1914 venne processato dal Tribunale di Firenze, fu riconosciuto colpevole con le attenuanti e condannato a un anno e quindici giorni di prigione per furto aggravato. Questa pena fu ridotta in appello il 29 luglio a 7 mesi e 8 giorni di reclusione (quando uscì, trovò un gruppo di studenti toscani che gli offrirono il risultato di una colletta, a nome di tutti gli italiani: 4.500 lire). Scarcerato, Peruggia partecipò alla Prima guerra mondiale e, dopo Caporetto, finì in un campo di prigionia austriaco. Terminata la guerra, il 26 ottobre del 1921 si sposò con Annunciata di quindici anni più giovane. Tornò in Francia utilizzando un espediente: sui documenti per l'espatrio sostituì Vincenzo con Pietro, suo secondo nome. Si stabilì a Saint-Maur-des-Fossés, periferia di Parigi dove nel 1924 nacque la sua unica figlia, Celestina, che ricordava come in paese da piccola la chiamassero "Giocondina", deceduta nel marzo 2011. Vincenzo Peruggia morì l'8 ottobre del 1925 a Saint-Maur-des-Fossés a causa di un infarto.
giovedì 11 dicembre 2014
martedì 9 dicembre 2014
Un'ottima analisi critica di questo meraviglioso dipinto rinascimentale si trova qua.
Viva la RAI, che è cosa giusta e ci fa crescere sani.
venerdì 5 dicembre 2014
martedì 25 novembre 2014
mercoledì 12 novembre 2014
Ho sempre pensato che lo stile di Paolo Pandolfo fosse un po' troppo fiorito e volatile e per questo motivo non l'ho mai seguito molto. Ed invece.
Le sei Suites á Violoncello Solo senza Basso sulla viola da gamba potrebbero sembrare una discreta forzatura ma straordinariamente funzionano; trovo in più che sopra ad un argomento dove è stata ormai spesa ogni parola possibile il nostro Paolone nazionale abbia anche diverse cose da dire.
← qua.
venerdì 7 novembre 2014
Insomma c'è la gente al mondo che si muove e che fa le cose belle.
Intanto i cinque fumettisti della Nouvelle Bande Dessinée Italienne che oltre ad essere veri artisti sono giovani e anche simpatici. E poi Gabriele Orsini, che oltre ad essere mio nouvel ami è pure mio socio in cooperativa.
Questo piccolo filmino m'è proprio piaciuto, per una serie infinita di ragioni.
Bravi, bravi tutti.
martedì 4 novembre 2014
venerdì 31 ottobre 2014
giovedì 30 ottobre 2014
Due o tre cose su antichi gettoni e moderni manganelli
Ecco, ci siamo. Era fatale che lo scontro da teorico diventasse molto pratico. Dico subito che non mi piace. In generale non mi piace veder menare nessuno, e meno di tutti i più deboli. Nel caso, lavoratori con una lettera di licenziamento in tasca, persone che sono davvero davanti al dramma, gente che probabilmente vede benissimo – meglio di me – la differenza tra il fighettismo glamour della Leopolda e le proprie vite. Una differenza dickensiana, quasi.
A questi uomini (uomini perché lavorano l’acciaio, ma anche alle donne, ovvio) si è detto di tutto in questi sei mesi di governo. Che sono vecchi, che il loro posto fisso (l’unica cosa che hanno, e la stanno perdendo) non è più un valore, anzi che sembra un peso per il Paese.
Si è citato ad esempio Sergio Marchionne (quello che cacciava gli operai con la motivazione che erano della Fiom), si è data tribuna (e applausi) a un finanziere che vive a Londra invitato a dar lezioni a chi guadagna facendosi il culo un centesimo di quel che guadagna lui. Si sono insultati i sindacati dei lavoratori, e non parlo della gag dei gettoni (non solo), ma dell’eterno, ripetuto, ossessivamente reiterato fastidio per “i corpi intermedi”, la trattativa, il dialogo. Anche oggi, questa mattina, un’esponente del nuovo Pd ha accusato la Cgil di tessere false (poi retromarcia imbarazzante, ma è tutto imbarazzante, francamente). Il Premier è andato in televisione a dire che “l’imprenditore deve poter licenziare quando vuole”. Persino la legge di stabilità che abbassa le tasse agli imprenditori (la famosa Irap), fa sconti miliardari senza chiedere alcun vincolo, alcun impegno ad assumere. Anzi, si cancella l’ultimo barlume di argine a una politica da Far West nel mondo del lavoro. Segnali. Dieci, cento, mille segnali. Fatti, non schermaglie da social network o freddure buone per twitter. O frasette di facile presa come quelle dei Baci Perugina (come dice giustamente Maurizio Landini: "slogan del cazzo"), o per scempiaggini come "Questo è il governo più di sinistra degli ultimi 30 anni" (Renzi, febbraio 2014).
Ora il problema non è più “due sinistre”, ammesso che ci sia mai stato.
Ora il problema è che per quelli in piazza oggi e per moltissimi lavoratori (non solo quelli del 25 ottobre) il Pd che sta governando, quello leopoldo e chic, quello amico di Marchionne e Davide Serra, quello che va in visita da Cameron e dice che il lavoro in Italia è ancora troppo rigido, questo governo che fa i patti con Berlusconi, applaudito da Ferrara e da Confindustria, non è più un riferimento.
Nemmeno un lontano parente. Se c’era un sottilissimo cordone ombelicale con il vecchio Pci (e successive modificazioni) non c’è più. Per sempre.
Mi dicono che la destra sta strumentalizzando, mi si segnalano (dall’interno del modernissimo Pd renziano, tra l’altro) tweet di Salvini e della Meloni. Ma… Ma quello che va detto è che oggi per uno che lavora male, pagato male, incerto sul suo futuro, spaventato, e perdipiù insultato (vecchio, conservatore, dinosauro…) le differenze tra la Meloni e Renzi, tra Salvini e Poletti, tra Verdini e la Boschi sono impalpabili, inesistenti. La politica sul lavoro è la stessa, basta vedere gli applausi di Sacconi al Jobs act. Persino lo scherno e il disprezzo verso chi lavora somiglia a quelli della destra più retriva. Operaio, fabbrica, vengono trattate come parole antiche e volgari, senza alcun rispetto (e non dico sacralità, quello era il vecchio Pci ideologico, brutto, sporco e cattivo: meglio Fanfani ci hanno detto di recente).
Ecco, ci siamo.
Il coraggio di dire: non siete più dei miei, nemmeno lontanamente viene dunque dalle cose reali, non è un vezzo (diranno: nostalgia, gettoni, anni Settanta, tutte cose che non c’entrano niente), ma un dato di fatto. Ora - a parte i soldatini zelantissimi più renzisti di Renzi - arrivano da quella parte, la parte del gover inviti alla calma, alla freddezza, ad "abbassare i toni". Potrebbe essere tardi.
Quando uno dice frasi come “chiudere senza salvare” deve sapere che c’è chi ha pochissimo da salvare, ma proprio perché pochissimo molto molto prezioso.
Lo scontro ci sarà, è inevitabile, si può solo sperare che nessuno si faccia male come oggi. Ma una cosa è certa: nessuno potrà dire all’altro “siamo dalla stessa parte”.
Perché non è vero.
Alessandro Robecchi, dal suo blog
mercoledì 29 ottobre 2014
lunedì 27 ottobre 2014
La Boschi preferisce Fanfani a Berlinguer per una questione di vicinanza territoriale.
Nemmeno il gusto di morire democristiani per credo.
Vicinanza territoriale. No, dico.
La Madia se la cava decisamente meglio: mi piacciono queste giovani, molto dinamiche.
Di mio non posso manco dire che ho perso i vent'anni a fumare le canne perchè ho scoperto tardi anche quelle e non sono durato granché neanche come drogato.
venerdì 24 ottobre 2014
domenica 19 ottobre 2014
venerdì 17 ottobre 2014
mercoledì 15 ottobre 2014
Un Paese di Paul Strand è un libro da avere, da sfogliare, da toccare.
Ma se quello che vi interessa sono gli effetti speciali, un certo tipo di fotografia "urlata" o anche solo semplicemente - per tornare a più miti consigli - la modernità della visione di un Cartier Bresson, forse il primo postulato di questa recensione è falso.
La domanda: può un americano raccontare l'Italia, e farlo con grandissima onestà ed umiltà?
La risposta, specie se come in questo caso c'è lo zampino di un personaggio della caratura di Cesare Zavattini, è si. Eccome.
Paul Strand è arrivato a Luzzara, in Emilia, nel 1953 e proprio su invito di Zavattini ( Luzzara era il suo paese natale ) per raccontare attraverso le fotografie una società che iniziava lentamente a scomparire e nello stesso momento un tempo quasi sospeso, una realtà immutabile nei secoli almeno fino ad allora, dove l'attrezzo più tecnologico dopo l'aratro era la bicicletta.
Un'istantanea pre-miracolo economico di un piccolo comune del nord a dimostrazione del fatto che forse il nostro paese era molto più uniforme nei toni e nei modi ( che nella lingua, ovviamente ) di come siamo abituati a pensare, se le fotografie di Scianna a Bagheria o di un certo Berengo Gardin ci hanno fatto intendere un sud non troppo lontano dall'Afghanistan e non troppo lontano
dal tempo dell'oggi.
Quindi cos'ha di speciale questo libro? Semplice, ha che le sue immagini sono vere.
Attenzione però: niente spunti di tipo neorealistico, niente esposizione dei fatti nudi e crudi per i fatti, al contrario vi è qui un'esasperata ricercatezza ed un'eleganza di rara ispirazione, in specialmodo in questi inceredibili ritratti di gente normale, di campagna.
Forse troppa poeticizzazione è stato detto, per trovare qualcosa che potesse avvicinarsi ad una lettura di tipo critico. Insomma, cosa volere di più?
Non possiamo inoltre non tener conto dei mezzi con cui tutto ciò è stato realizzato, roba che oggi strabuzzeremmo gli occhi al solo pensiero, una missione impossibile ed impensabile, in strada, in tempo di pace.
In due parole, la Fotografia.
E di speciale avrebbe anche il suo doppio, sul finire dei '70: Un paese, vent'anni dopo del già sopra citato Gianni Berengo Gardin, su commissione dello stesso Zavattini. Un altro libro da avere, un interessantissimo confronto di sguardi e conversione di intenti tra grandi maestri.
Ma questa è un'altra storia e da scoprire ce n'è ancora parecchio.
Scheda tecnica del libro:
Titolo: Un Paese - Portrait of an Italian Village
Autore: Paul Strand, Cesare Zavattini
Editore: Aperture
Anno di edizione: 1997 ( edizione originale italiana: f.lli Alinari - 1955 )
Prezzo di copertina: non specificato
ISBN: 0-89381-700-7
lunedì 13 ottobre 2014
giovedì 9 ottobre 2014
sabato 4 ottobre 2014
venerdì 3 ottobre 2014
Come mi va a ottobre? Ho cambiato editor di testo. Sto passando da Aquamacs Emacs a Sublime Text 2.
Lentamente, perchè insomma c'era dell'affezione ed in più la piena confidenza con una nuova interfaccia non è cosa molto semplice da raggiungere. L'editor per chi fa il mio lavoro è un amico fidato, un valoroso aiutante competente ed efficiente (molto più di me, ma ci vuole poco), una specie di mago ed in certe occasioni uno Wolf risolvitore di problemi.
Ma io (he!) ho il vantaggio che Sublime Text mi piace e sono molto ben disposto nei suoi confronti.
Fino ad ora.
Ora che ci apro un file e mi trovo davanti questo. Ecco, qualcosa mi dice che nella vita un altro qualcosa è andato storto.
Ho fatto delle valutazioni erronee e i nodi, come si sa, prima o poi vengono tutti al pettine.
Il povero Sublime: una vocina mi ripete ossessivamente che l'ambasciatore non porta la pena, ma ho il sospetto che affidarmi ai detti popolari non cambierà la situazione di una virgola, tanto quanto la gatta al lardo.
lunedì 29 settembre 2014
martedì 23 settembre 2014
Una proposta di logo ( ma ne seguiranno un altro paio sullo stesso impossibile tema ) per un Social Network dedicato al mondo delle arti e sviluppato dai più insospettabili.
Presentazione ufficiale all' i/OFF, sabato 11/10 ore 19 - CSB, Pisa. Ma come viene viene bene, tempo del resto non ce n'è - e condividimi un po' sto contenuto.
Ndr / le femmine consultate sopra al design fino ad ora sono per l'arrotondamento degli angoli.
sabato 20 settembre 2014
martedì 16 settembre 2014
martedì 9 settembre 2014
30.09.93 - via Radojka Lakic, Sarajevo.
[...] Un altro sibilo, meno forte, l'esplosione tarda (un paio di secondi?), è più lontana. Vedo movimento verso il mercato. Mi avvicino, monto il duecento, seleziono un tempo veloce, controllo la luce. Una ragazza mi corre incontro. Inquadro, scatto e maledico di non avere impostato il motore sullo scatto continuo per non sprecare pellicola.
Troppo tardi, ormai mi è addosso e mi supera, ignorandomi. E' finita.
Scatto ancora. Una coppia che corre, una donna dall'altro lato della strada, ma tutto sembra di meno.
Ho in testa lo sguardo della ragazza che corre. Quella ragazza non correva per paura, ma per rabbia. Essere entrambi sotto tiro non ci mette sullo stesso piano. La sua rabbia la posso intuire, ma non condividere. Lei è a casa sua e stanno sparando sulla sua città, le sue abitudini, la sua vita. Io sono un ospite volontario (e retribuito). Parte della sua rabbia deve essere anche per me, che ho rubato l'intimità di quella corsa. Che ci faccio qui? "Dovere di cronaca", certo, ma ripeterselo non è sufficiente. Lo stomaco si contrae di nuovo per un'esplosione più vicina, e i pensieri spariscono.
Passano alcuni minuti. Ora c'è silenzio. Penso che uno scatto buono forse l'ho fatto. Non ho mai smesso di camminare, di guardarmi intorno. Non ho visto feriti, per fortuna. Mi sono sempre sentito uno sciacallo, dopo quelle foto. [...]
Mario Boccia - la Repubblica, 30.09.013
mercoledì 3 settembre 2014
martedì 2 settembre 2014
venerdì 29 agosto 2014
sabato 23 agosto 2014
martedì 19 agosto 2014
mercoledì 13 agosto 2014
domenica 10 agosto 2014
giovedì 7 agosto 2014
Tramite la famiglia del Francone, con particolare menzione a sua moglie Barbara Capitani -la migliore aiuto cuoca con cui ho avuto a che fare quando a mio modo esercitavo la professione- ho assaggiato il miglior aceto basamico della mia vita, e vi assicuro.
Il Francone e Barbara sono emiliani, emiliani della montagna.
Bella gente schietta e sincera ma pazzi da legare,
di quella follia mescolata con le cose di tutti i giorni,
di quella che ci piace.
Del logo ai tempi ero soddisfatto e lo sono tutt'ora anche se alla fine non è andato mentre tirare la TX 400 a 1600 può fare
questo tipo di scherzo, come sopra.
Siamo soli.