martedì 18 dicembre 2018



Una polis silenziosa ai confini del mondo { e affaciata sul mare }
'blad 503cx - Distagon C 50mm / Tmax 100

mercoledì 5 dicembre 2018

venerdì 16 novembre 2018

mercoledì 10 ottobre 2018

lunedì 1 ottobre 2018

giovedì 27 settembre 2018


Dell'articolo di Carlo Bonini su Rep: (a cui ho fatto l'abbonamento alla faccia di quel vergognoso gazzettino che è diventato il Fatto) del 24 settembre, condivido ogni virgola:

Il ministro dell’Interno Matteo Salvini battezza un decreto sicurezza che fa di un manifesto ideologico la “norma”. Un “venghino, signori venghino” da mercato della paura dove l’imbonitore, dopo aver trascorso quattro mesi a fare il piromane, posa ora a pompiere offrendo agli “italiani” l’estintore che — dice — spegnerà l’incendio.

Per rifilare la patacca, deve naturalmente svuotare di ogni complessità una vicenda epocale e dalle implicazioni geopolitiche continentali come i flussi migratori, vendendo un’emergenza che non c’è (gli sbarchi) per una minaccia incombente alla sicurezza nazionale che gli consenta di legiferare d’urgenza, e dunque per decreto, strozzando ogni dibattito parlamentare.

E deve soprattutto giocare, forte dell’analfabetismo e la rozzezza civile che gli sono propri, con principi fondamentali dei diritti dell’uomo (tutti gli uomini), quali la presunzione di innocenza, il diritto di asilo, la protezione umanitaria, la cittadinanza, degradandoli a “concessioni” agli uomini dalla pelle nera, come tali revocabili. Dal Principe (cioè lui, il Difensore degli Italiani) o dalla discrezionalità di un’autorità amministrativa.

Salvini deve soprattutto tacere agli italiani quello che lui per primo ha imparato in questi quattro mesi da ministro. Che nessuno manda a casa nessuno approdato sulle nostre coste – neppure Gesù Cristo – senza l’accordo dei Paesi di provenienza. E lo deve tacere perché se lo spiegasse, tutti comprenderebbero che il “decreto sicurezza” avrà sui flussi migratori lo stesso effetto del pugno battuto sul tavolo con cui il nostro Paese, da qualche mese, si copre di ridicolo in ogni vertice internazionale. La riduzione dei potenziali beneficiari del diritto di asilo, la cancellazione di fatto della protezione umanitaria, la liquidazione dell’esperienza degli Sprar ancorché scoraggiare i migranti (la disperazione che convince a fuggire dal continente africano è più forte di ogni Salvini) avranno infatti il solo effetto di moltiplicare i clandestini, nonché il numero di coloro che, da detenuti, languiranno nei centri di espulsione (già oggi sotto dimensionati e da domani ancor più diminuiti nella capienza dal raddoppio dei tempi di detenzione legittimi) in attesa di rimpatrio. E questo perché, esaurito il termine di detenzione, il raddoppiato esercito di migranti irregolari avrà come accade oggi un semplice foglio di via che non li avvierà certo a un “ritorno volontario” nei Paesi di provenienza, ma solo alla loro clandestinità.

Non è complicato scommettere che, in questa forma, il decreto difficilmente passerà l’esame del Quirinale, prima, e della Corte Costituzionale, poi, quando comincerà ad essere investita dal contenzioso che le nuove norme produrranno. Ma è ancora una volta sorprendente come a mettere la faccia su questo manifesto costituzionalmente sgangherato sia un Presidente del Consiglio che posa a fine giurista e, non più tardi di due giorni fa, ha preso cappello “indignato” per la “violazione della privacy” e dei diritti costituzionali del suo portavoce Rocco Casalino. Quando si dice gli azzeccagarbugli.



martedì 11 settembre 2018





lunedì 6 agosto 2018


Quandu ä dumenega fan u gíu / cappellin neuvu neuvu u vestiu / cu 'a madama a madama 'n testa / o belin che festa o belin che festa / a tûtti apreuvu ä pruccessiún / d'a Teresin-a du Teresún / tûtti a miâ ë figge du diàu / che belin de lou che belin de lou / e a stu luciâ de cheusce e de tettìn / ghe fan u sciätu anche i ciû piccìn / mama mama damme ë palanche / veuggiu anâ a casín veuggiu anâ a casín / e ciû s'addentran inta cittaë / ciû euggi e vuxi ghe dan deré / ghe dixan quellu che nu peúan dî / de zeùggia sabbu e de lûnedi / a Ciamberlin sûssa belín / ä Fuxe cheusce da sciaccanuxe / in Caignàn musse de tersa man / e in Puntexellu ghe mustran l'öxellu / e u direttú du portu c'u ghe vedde l'ou / 'nte quelle scciappe a reposu da u lou / pe nu fâ vedde ch'u l'è cuntentu / ch'u meu-neuvu u gh'à u finansiamentu / u se cunfunde 'nta confûsiûn / cun l'euggiu pin de indignasiún / e u ghe cría u ghe cría deré / bagasce sëi e ghe restè / e ti che ti ghe sbraggi apreuvu / mancu ciû u nasu gh'avei de neuvu / bruttu galûsciu de 'n purtòu de Cristu / tè l'ûnicu ch'u se n'è avvistu / che in mezu a quelle creatûe / che se guagnan u pan da nûe / a gh'è a gh'è a gh'è a gh'è / a gh'è anche teu muggè / a Ciamberlin sûssa belín / ä Fuxe cheusce de sciaccanuxe / in Caignàn musse de tersa man / e in Puntexellu ghe mustran l'öxellu.

martedì 17 luglio 2018



Fattoria di Rignana, Greve in Chianti - 30 06 2018

venerdì 6 luglio 2018

mercoledì 4 luglio 2018

giovedì 14 giugno 2018

martedì 15 maggio 2018


mercoledì 9 maggio 2018




Chi, non disponendo dei dati divulgati dai mezzi d'informazione, vuole fare un'analisi dell'affaire Moro, non solo deve secernere il poco grano dal tanto loglio, ma deve far tabula rasa di quella specie di pregiudizio autodenigratorio (di solito, cioè, impiegato in senso autodenigratorio) che non riconosce come italiano tutto ciò che è preciso, puntule, efficiente.
Precisione, puntualità ed efficienza sono dalla generalità degli italiani considerate qualità a loro estranee o, a voler salvare qualcosa, allogene. Di un isitituto che non funziona, di un ospedale in cui si è maltrattati o in cui non c'è posto, di un treno che ritarda, di un aereo che non parte, di una lettera che non arriva, di una festa che non riesce, il suggello è sempre l'esclamazione: "cose nostre!".
Eppure, c'è almeno una cosa che funziona: ed è appunto quella che antonomasticamente è "cosa nostra". E d'accordo che non c'è da menarne vanto e che per questa "cosa nostra" che funziona si può anche elevare a grido di disperazione "cose nostre!" su quelle che non funzionano; ma tant'è che funziona e che dunque non per natura o maledizione siamo destinati all'imprecisione, all'impuntualità, all'inefficienza.

Le Brigate Rosse funzionano perfettamente ma (e il ma ci vuole) sono italiane. Sono una cosa nostra, quali che siano gli addentellati che possano avere con sette rivoluzionarie o servizi segreti di altri paesi. E non che si voglia qui avanzare il sospetto di un rapporto, se non fortuito e da individuo a individuo, con l'altra "cosa nostra" di più antica e provata efficienza: ma analogie tra le due cose ce ne sono.

Le Brigate Rosse avranno studiato ogni possibile manuale di guerriglia, ma nella loro organizzazione e nelle loro azioni c'è qualcosa che appartiene al manuale non scritto della mafia. Qualcosa di casalingo, pur nella precisione ed efficienza. Qualcosa che è riconoscibile più come trasposizione di regola mafiosa che come esecuzione di regola rivoluzionaria. Per esempio: l'azzoppamento - che è la trasposizione dello sgarrettamento del bestiame praticato dalla mafia rurale. Per esempio: il sistema per incutere omertà e sollecitare protezione o complicità; sistema in cui ha minima parte la corruzione, una certa parte la minaccia diretta, ma è quasi sempre affidato al far sapere che non c'è delazione o collaborazione di cui loro non siano informati. Il sistema, insomma, di ingenerare sfiducia nei pubblici poteri e di rendere l'invisibile presenza del mafioso (o del brigatista) più pressante e temibile di quella del visibile carabiniere.
Per esempio: la micidiale attenzione dedicata al personale di vigilanza delle carceri e che tende a stabilire, dento alle carceri, il privilegio del detenuto rivoluzionario così come vi si è da tempo stabilito il privilegio del detenuto mafioso (e non si creda che il mafioso se ne sia avvalso soltanto nel senso della comodità: molto prima che dei politici la concezione del carcere come luogo di proselitismo, di aggregazione, di scuola, è stata dei mafiosi).

E al di là di queste analogie, fino a un certo punto oggettive, nella coscienza popolare se ne è affermata un'altra: che come la mafia si fonda ed è parte di una certa gestione del potere, di un modo di gestire il potere, così le Brigate Rosse. Da ciò quella che può apparire come indifferenza: ed è invece la distaccata attenzione dello spettatore a una pièce che già conosce, che rivede in replica, che segue senza la tensione del come va a finire ed è soltanto intento a cogliere la diversità di qualche dettaglio nelle scene e nell'umore degli attori.
Ed è facile sentir dire, e specialmente in Sicilia, che questa delle Brigate Rosse è tutta una storia come quella di Giuliano : e ci si riferisce a tutte quelle acquiescenze e complicità dei pubblici poteri che i siciliani conoscevano ancor prima che diventassero risultanze (queste si, risultanze) nel famoso processo di Viterbo. Atteggiamento che si può anche disapprovare, non poggiando su dati di fatto; ma che trova giustificazione in quel distico di Trilussa che dice la gente non fidarsi più della campana poiché conosce quello che la suona.


giovedì 3 maggio 2018

lunedì 23 aprile 2018

giovedì 19 aprile 2018

giovedì 5 aprile 2018



Punk's not dead! Ritratto di Rachele Gonnelli - per gentile concessione.
Pentacon Six TL + Zodiac 8 30mm, Fomapan 100.

giovedì 1 marzo 2018



mercoledì 21 febbraio 2018

lunedì 12 febbraio 2018



 



e le voci rompevano il silenzio e nelle pause si sentiva il mare